Lo stretching è un termine comunemente usato nella pratica sportiva, per indicare un insieme di esercizi finalizzati alla flessibilità e all’allungamento muscolare. Molto spesso viene effettuato a fine allenamento per qualche minuto.
Stretching è un termine inglese che significa proprio “allungamento”: è largamente diffuso, ma i pareri sulla sua utilità sono controversi. Alcuni esperti di medicina sportiva negano i benefici spesso associati a questa tipologia di esercizi, mentre tutti gli esperti lo riconoscono come potenzialmente dannoso se non praticato in modo corretto.
Come fare stretching nel modo corretto
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Studi recenti hanno dimostrato che 15/30 secondi di stretching sono più che sufficienti quasi per tutti i muscoli, anche se la durata ottimale varia dai gruppi muscolari, ma mai tirando passivamente, al contrario utilizzando tecniche di contract and relax. Non ci sono prove che lo stretching abbia effetto sulla prevenzione sugli infortuni. Pertanto si consiglia di farlo solo dopo gli allenamenti.
Gli esercizi di stretching coinvolgono muscoli ma anche tendini, ossa e articolazioni: per questo motivo, nella scelta della modalità di esercizio, è fondamentale valutare sia il gruppo muscolare che si vuole allungare, sia la mobilità articolare. Nei prossimi paragrafi vediamo perché.
Stretching e le componenti dei muscoli
I muscoli hanno una componente elastica e una visco-elastica. Gli elastici si allungano per un periodo di tempo, e quando la forza applicata viene tolta tornano al loro punto di origine, pertanto non hanno bisogno di tempo per cambiare. Le sostanze viscose hanno invece bisogno di tempo per cambiare la fluidità e/o la direzione.
Una sostanza visco-elastica ha entrambe le proprietà, e quindi la lunghezza di un muscolo aumenta con il tempo se viene applicata una forza costante, o la forza del muscolo diminuisce se il muscolo subisce uno stretch prolungato ad una lunghezza costante e mantenuta. Quando viene tolta la forza, la sostanza ritorna alla lunghezza originale, lentamente. Lo stretching influisce anche sui tendini e altri tessuti connettivi, e per reazione normale del SNC se ci si accanisce in modo passivo sui muscoli, quindi tirandoli, i muscoli si inibiscono per un meccanismo di protezione gestito dal cervello.
Stretching e le articolazioni: ipomobilità e ipermobilità
Si parla spesso di ipomobilità articolare e quindi della necessità di acquisire un maggiore raggio di movimento; mentre si parla meno spesso di ipermobilità articolare, che è riferita al ROM che supera i limiti fisiologici. Di solito la lassità eccessiva dei legamenti è una condizione ereditaria che influenza i tessuti connettivi rendendoli più elastici della norma, dovuto ad alterazioni di collagene. La sintesi del collagene dipende spesso da fattori genetici.
Se dovessimo darne definizione:
- Con il termine “ipomobilità articolare” s’individuano quelle articolazioni che permettono l’esecuzione di movimenti limitati; ne sono un esempio le articolazioni delle vertebre, le articolazioni coste-vertebre, articolazioni coste-sterno e articolazioni pubiche.
- Con il termine “ipermobilità articolare” s’intende invece la capacità di estendere le articolazioni oltre i normali limiti fisiologici, il che può essere legato a una maggiore lassità legamentosa (rilassamento dei tessuti che tengono unita l’articolazione) e ad un indebolimento dei muscoli. Aspetti che in alcuni casi possono portare a lussazioni ricorrenti.
L’ipermobilità non è generalmente considerata patologica perché non sempre causa problemi alle articolazioni: in alcuni casi è anche un vantaggio per le performance atletiche. Nei casi in cui l’ipermobilità si sviluppa con il tempo, a causa di degenerazione della capsula articolare e legamenti, come nelle persone anziane, bisogna fare molta attenzione ed evitare qualsiasi tipo di stretching passivo.
Muscoli “instretchabili”
Esistono poi dei gruppi muscolari che sono “instretchabili” se questo termine esistesse: significa impossibili da allungare. Questo dipende dall’anatomia specifica in alcune articolazioni che non ci permettono di andare oltre determinati movimenti.
Uno di questi muscoli è il tibiale anteriore che si trova anteriormente al corpo sulla tibia. Anche un contorsionista del cirquedusoleil non riuscirebbe ad andare oltre una certa flessione plantare. Anche nella massima posizione di flessione plantare, l’allineamento del muscolo per fortuna non riuscirebbe ad andare oltre. Questo muscolo è spesso responsabile di vari fastidi tra cui la fascite plantare: una pressione per attivare la circolazione del sangue può fargli bene. Altri muscoli “instretchabili” sono:
– coracobrachiale
– massetere e temporale
– suboccupitali: la flessione è stoppata dal mento che arriva sul petto;
– sovraspinato: è il muscolo che solleva il braccio in abduzione, impossibile andare nel senso inverso perché il tronco sarebbe in mezzo
– piccolo pettorale: tutti sono convinti di allungare questo muscolo ma in realtà l’unico modo per farlo sarebbe sollevando la scapola, quindi in realtà si fa stretching del grande pettorale
– paraspinali toracici
– gran dorsale troppo lungo, non importa quanto si allontana il braccio perché la tensione su questo muscolo rimane sempre bassa
– gluteo grande
– quadricipite: inteso come gruppo perché al massimo si riesce solo a fare un po’ di stretching su 10/15% del gruppo muscolare, su qualche fibra del retto del femore.
– banda iliotibiale: tutti adorano schiacciare questo muscolo sul foamroller. Questa banda è molto spessa non può scivolare né allungarsi perché è fermamente attaccata al femore e alla coscia, e quando la si allunga si arriva subito alle limitazioni dell’anca e del medio e piccolo gluteo. La sua impossibilità di allungamento è stata studiata da Falvey Et al, Wilhelm Et al.
Attenzione allo stretching passivo
Lo stretching è definito passivo quando viene assunta una posizione e mantenuta per un certo tempo, rilassando il muscolo interessato mediante l’utilizzo di un supporto esogeno (ad esempio, appoggiandosi ad una leva o un muro, oppure con il supporto di un partner o ancora assecondando la forza di gravità) che esercita una spinta verso il basso o in determinate posizioni. Il tutto senza quindi contrarre i muscoli agonisti (ovvero dei muscoli complementari a quelli che si distendono).
I protocolli dello stretching passivo sono pieni di malintesi dovuti a conflitti della ricerca scientifica. È importante sapere che le varie tecniche di stretching causano effetti diversi sui muscoli degli individui. Nonostante la poca e limitata evidenza dei benefici dello stretching, viene spesso usato come parte integrante di programmi di fitness per ginnasti, ballerini, golfisti, calciatori e in generale per gli sportivi.
Viene utilizzato molto spesso per alleviare la rigidità, senza sapere per quale motivo questa esista o da dove venga. La rigidità infatti può dipendere da vari fattori, come ad esempio un meccanismo di protezione generato dal cervello per proteggere lo scheletro, o potrebbe dipendere dai fattori ormonali che gestiscono i tessuti connettivi.
Esistono varie ricette nella letteratura medica e nella nuova ricerca che hanno messo in questione alcuni vecchi concetti sui metodi di stretching. I malintesi esistono non solo tra i pazienti/clienti, ma anche nel mondo scientifico fra gli ‘’specialisti’’ della salute. Questo rende difficile la scelta del tipo di stretching adeguato.